Claudio Vercelli, Il Manifesto, 2 settembre 2015
L’importante volume di Philip Cooke L’eredità della Resistenza passa criticamente in rassegna le prospettive interpretative su un fenomeno che ha visto manifestarsi una molteplicità di intenzioni, culture politiche e soggetti sociali
Per celebrare la sua «resistenza» personale contro l’allora «editto bulgaro» – correva l’anno 2002 e Silvio Berlusconi da Sofia aveva appena messo all’indice tre note firme della Rai – un gigionesco ed egocentrico Michele Santoro cantò, in esordio della sua trasmissione, alcune strofe di «Bella ciao». Fu uno strazio di note, di tonalità e di ragioni ma l’escamotage dell’identificarsi con i motivi, non solo canori, della lotta di Liberazione parve funzionare. L’autobeatificazione, infatti, pagò. Berlusconi oggi sta dietro le quinte della politica, pur continuando a manovrarne alcuni settori, mentre Santoro continua a recitare sul palcoscenico mediatico la sua partitura. Pari e patta. Quasi due facce della medesima medaglia, ancorché di conio differente. Detto questo, qual è il vero nesso tra le abili comparsate pubbliche di un populista televisivo e una traiettoria, quella compiuta dalla memoria collettiva della Resistenza, nelle sue molteplici declinazioni? Più propriamente, insieme ad un’identità esiste anche un’eredità della Resistenza?