Avendo la fortuna (?) di vivere in una delle poche città italiane con due squadre di calcio nel massimo campionato, spesso e malvolentieri mi capita di assistere a discussioni, tanto accese quanto interminabili, fra sostenitori dell’una e dell’altra compagine. Come in ogni situazione che scatena le più profonde passioni, ognuno vuole “ottenere ragione” e affina, il più delle volte inconsapevolmente, le armi della dialettica, specialmente quando ha raggiunto il livello massimo di decibel consentitogli dalle corde vocali.
Chi alla fine ottenga o meno ragione, è in questa sede totalmente irrilevante. Ciò che interessa è iniziare a descrivere e analizzare le diverse tecniche che li nostro può utilizzare. E in ciò ci aiuta un filosofo tedesco del XIX secolo, Arthur Schopenhauer (1788-1860) che questo problema se lo era già posto, scrivendo nel 1830-31 un trattatello, mai dato alle stampe, dal titolo L’arte di ottenere ragione. Esposta in trentasei stratagemmi.
Trattandosi di opera filosofica assume per sua natura carattere universalistico. Può quindi essere applicata a svariati ambiti, fra cui quello dell’analisi del comportamento degli esponenti politici, donne e uomini, nel corso dei vari dibattiti televisivi.
Schopenhauer illustra trentasei stratagemmi, corredandoli di esempi. Iniziamo con i primi tre, che lo stesso filosofo ci spiegherà essere collegati. Gli altri seguiranno nei prossimi giorni.
Stratagemma n.1
L’ampliamento. Portare l’affermazione dell’avversario al di fuori dei suoi limiti naturali, interpretarla nella maniera più generale possibile, prenderla nel senso più ampio possibile, ed esagerarla; restringere invece la propria affermazione nel senso più circoscritto possibile e nei limiti più ristretti: perché quanto più un’affermazione diventa generale, tanto più essa presta il fianco agli attacchi. L’antidoto è la precisa formulazione del punctus o status controversiae.
Esempio 1
Io dissi: «Gli Inglesi sono la prima nazione nel genere drammatico». L’avversario volle tentare una instantia e ribatté: «È noto che nella musica, e di conseguenza anche nell’opera, essi non hanno saputo combinare nulla». Io gli replicai ricordandogli «che la musica non è compresa nel genere drammatico; questo designa solo la tragedia e la commedia»: cosa che egli sapeva molto bene, e quindi tentava solo di generalizzare la mia affermazione in modo che comprendesse tutte le rappresentazioni teatrali, di conseguenza l’opera e la musica, per poi battermi con sicurezza.
Se invece l’espressione da noi usata lo favorisce, si salvi la propria affermazione restringendola oltre la primitiva intenzione.
Esempio 2
A dice: «La pace del 1814 restituì persino a tutte le città anseatiche tedesche la loro indipendenza». B dà la instantia in contrarium cioè che con quella pace Danzica perse l’indipendenza conferitale da Bonaparte. A si salva così: «Ho detto tutte le città anseatiche tedesche. Danzica era una città anseatica polacca».
Questo stratagemma si trova già in Aristotele, Topici, VIII, 12.
Esempio 3
Lamarck (Philosophie zoologique, [Paris, 1809], vol. 1, p. 203) nega ai polipi ogni sensazione poiché privi di nervi. Ora, però, è certo che essi percepiscono, infatti seguono la luce mentre procedono con la loro tecnica di ramo in ramo. E afferrano la loro preda. Si è perciò supposto che in essi la massa nervosa sia diffusa in ugual misura nella massa dell’intero corpo e, per così dire, vi sia fusa assieme: infatti essi hanno evidentemente percezioni senza avere organi di senso distinti. Poiché ciò ribalta l’ipotesi di Lamarck, egli argomenta dialetticamente così: «Allora tutte le parti del corpo del polipo dovrebbero essere capaci di ogni specie di sensazione e anche di movimento, di volontà, di pensiero: allora il polipo avrebbe in ogni punto del suo corpo tutti gli organi dell’animale più completo: ogni punto potrebbe vedere, annusare, gustare, sentire e così via; anzi, pensare, giudicare, inferire: ogni particella del suo corpo sarebbe un animale completo e il polipo stesso starebbe sopra l’uomo, poiché ogni cellula avrebbe tutte le facoltà che l’uomo ha solo nel suo insieme. Non ci sarebbe inoltre alcun motivo per non estendere quanto si afferma sui polipi anche alla monade, il più imperfetto di tutti gli esseri, e infine anche alle piante, le quali pure vivono, e così via». Con l’uso di tali stratagemmi dialettici uno scrittore tradisce l’intima consapevolezza di avere torto. Poiché si è detto: «Il suo intero corpo è sensibile alla luce, ed è perciò di natura nervosa», egli ne evince che l’intero corpo pensa.
Stratagemma n.2
Usare l’omonimia per estendere l’affermazione presentata anche a ciò che, al di là del nome uguale, poco o nulla ha in comune con la cosa in questione; poi darne una confutazione lampante, e così fingere di avere confutato l’affermazione.
Nota: synonyma sono due parole indicanti il medesimo concetto; homonyma due concetti indicati dalla medesima parola (vedi Aristotele, Topici, I, 13). Profondo, tagliente, alto, usati ora per corpi ora per suoni sono homonyma. Sincero e leale sono synonyma.
Questo stratagemma può essere considerato identico al sofisma ex homonymia: tuttavia il sofisma palese dell’omonimia non trarrà seriamente in inganno.
Omne lumen potest extingui;
Intellectus est lumen;
Intellectus potest extingui.
[Ogni lume può essere spento; l’intelletto è un lume; l’intelletto può essere spento.]
Qui si nota subito che ci sono quattro termini: lumen in senso proprio e lumen inteso in senso figurato. Ma nei casi sottili questo sofisma inganna certamente, soprattutto dove i concetti indicati dalla medesima espressione sono affini e si sovrappongono l’uno all’altro.
A questo punto mi permetto l’ardire di chiosare Schopenhauer. Mi sembra che una parola, usata frequentemente nella polemica politica, con le caratteristiche idonee a portare l’ascoltatore al falso sillogismo, sia “regime”. Regime, tecnicamente, significa “sistema politico”, ma, poiché è stata così tante volte utilizzata insieme all’aggettivo “fascista”, è andata ad assumere il doppio significato di “dittatura”.
Esempio 1
(I casi inventati appositamente non sono abbastanza sottili da essere ingannevoli: bisogna dunque trarli dalla propria esperienza concreta. L’ottimo sarebbe poter distinguere ogni stratagemma con un nome conciso e calzante, a cui si potrebbe ricorrere, al momento opportuno, per respingere in un batter d’occhio l’uso di questo o quello stratagemma).
A: «Lei non è ancora iniziato ai misteri della filosofia kantiana».
B: «Ah, dove ci sono misteri, io non voglio saperne nulla».
Esempio 2
Io biasimavo il principio d’onore, giudicando incomprensibile che chi subisce un’offesa perda l’onore a meno che non la ricambi con un’offesa maggiore o che non lavi l’onta col il sangue, quello del nemico o il proprio; come ragione addussi che il vero onore non può essere ferito da ciò che si subisce, ma soltanto da ciò che si fa; perché a chiunque di noi può succedere di tutto. L’avversario attaccò direttamente la mia ragione: egli mi dimostrò in modo lampante che se si calunniasse un commerciante dicendo che imbroglia o commette illegalità, o che è negligente nel suo mestiere, questo sarebbe un attacco al suo onore che qui verrebbe ferito unicamente per ciò che egli subisce, e che egli potrebbe ripristinare soltanto facendo punire tale calunniatore o costringendolo a smentire l’accusa.
Qui egli scambiò, dunque, per l’omonimia, l’onore civile, che si chiama altrimenti buon nome e che viene offeso col discredito, con il concetto di onore cavalleresco, chiamato anche point d’honneur e che viene offeso con le ingiurie. E poiché un attacco al primo non può essere trascurato, ma deve essere respinto con la pubblica confutazione, con lo stesso diritto anche un attacco al secondo non dovrebbe rimanere ignorato, ma dovrebbe essere respinto con un’ingiuria più forte e con il duello. Dunque: una confusione di due cose essenzialmente diverse favorita dall’omonimia della parola onore: e così l’omonimia dà origine a una mutatio controversiae.
Una parola di stretta attualità politica, dal doppio significato, è li participio passato del verbo “interdire”. Per evitare conseguenze spiacevoli, sempre meglio contestualizzare…
Stratagemma n.3
Prendere l’affermazione presentata in modo relativo, relative, come se fosse presentata universalmente, simpliciter, absolute, o almeno intenderla sotto tutt’altro aspetto e confutarla poi in in questo secondo senso.
Qui ci sarebbero delle parole in greco che non posso inserire dato che non dispongo di tutti i caratteri necessari (capirle, quello mai, ho fatto lo scientifico).
L’esempio di Aristotele è: il moro è nero, ma quanto ai denti è bianco: dunque egli è allo stesso tempo nero e non nero. È un esempio inventato, che non ingannerebbe sul serio nessuno: prendiamone invece uno dall’esperienza concreta.
Esempio
In una conversazione di filosofia ammisi che il mio sistema difende e loda i quietisti. Poco dopo il discorso cadde su Hegel, e io affermai che la maggior parte delle cose da lui scritte sono insensate o, almeno, che molti passi dei suoi scritti sono tali che l’autore butta lì le parole e il senso deve metterlo il lettore. L’avversario non si avventurò a confutare ciò ad rem, ma si contentò di proporre quest’argumentum ad hominem: io avevo appena lodato i quietisti, e anch’essi avevano scritto molte cose insensate.
Ammisi questo fatto, ma corressi l’avversario dicendo che non lodo i quietisti come filosofi o scrittori, cioè non per le loro imprese teoretiche, ma soltanto come uomini, per il loro agire, solo dal punto di vista pratico: nel caso di Hegel invece si parla di imprese teoretiche. L’attacco venne così parato.
A questo punto, Schopenhauer ci dice che i primi tre stratagemmi sono affini, poiché “hanno in comune il fatto che l’avversario parla in realtà di qualcosa d’altro rispetto a ciò che viene affermato”.
[…] si incorrerebbe dunque in una ignoratio elenchi [ignoranza della confutazione] se ci si facesse liquidare da tali stratagemmi. Infatti, in tutti gli esempi presentati quello che dice l’avversario è vero: non è però in contraddizione effettiva ma solo apparente con la tesi; chi è da lui attaccato quindi nega la consequenzialità della sua conclusione: cioè che dalla verità della sua tesi discenda la falsità della nostra. Si tratta dunque di una confutazione diretta della sua confutazione per negationem consequantiae.
Non ammettere premesse vere poiché se ne prevede la conseguenza. Come antidoto dunque i due seguenti mezzi, le regole 4 e 5.
Come ottenere ragione in 38 mosse – 1-3
Come ottenere ragione in 38 mosse – 4-5
Come ottenere ragione in 38 mosse – 6-8
Come ottenere ragione in 38 mosse – 9-12
Come ottenere ragione in 38 mosse – 13-15
Come ottenere ragione in 38 mosse – 16-20
Come ottenere ragione in 38 mosse – 21-23
Come ottenere ragione in 38 mosse – 24-27
Come ottenere ragione in 38 mosse – 28-29
Come ottenere ragione in 38 mosse – 30
Come ottenere ragione in 38 mosse – 31-34
Come ottenere ragione in 38 mosse – 35-37
Come ottenere ragione in 38 mosse – 38
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