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Archive for the ‘Liguria’ Category

Luca Pastorino

Daniela Preziosi, Il Manifesto, 17 marzo 2015

Democrack a Genova, è un civatiano il candidato della sinistra, dem nel caos. Dopo le primarie inquinate, associazioni, civici e partiti tutti d’accordo (o quasi). Lui: «Serve una strada unitaria». E stavolta Civati deve scegliere

Colpo di scena nelle regio­nali ligure, e per una volta, non è una cat­tiva noti­zia per la sini­stra in cerca di un can­di­dato. Pro­prio quando la situa­zione sem­brava dispe­ra­ta­mente incar­tata, e la burlandian-renziana — eletta con pri­ma­rie inqui­nate che ave­vano pro­vo­cato l’addio pole­mico al Pd di Ser­gio Cof­fe­rati — comin­ciava a dor­mire sonni tran­quilli, ieri Luca Pasto­rino, depu­tato Pd di area civa­tiana, ha annun­ciato di essere «pronto a lasciare il Pd» per «met­tersi a dispo­si­zione per un’alternativa alla pro­po­sta di governo regio­nale di Raf­faella Paita».

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Riporto questo articolo di Luigi Leone dal sito dell’emittente televisiva Primo Canale. Per i non genovesi un paio di precisazioni. Innanzitutto, Primo Canale è da sempre su posizioni assai critiche nei confronti di tutto quello che è targato sinistra in Liguria. Però per quanto concerne le emergenze è sempre “sul pezzo”, con servizi in diretta ventiquattr’ore su ventiquattro.

Poi, sempre per i non genovesi, passo a illustrare personaggi e interpreti: Claudio Burlando è dal 2005 presidente della Regione Liguria, Politico di lungo corso (PCI, PDS, DS, PD) è stato sindaco di Genova, ministro dei Trasporti, oltre ad aver assunto diversi incarichi di responsabilità a livello nazionale nel partito di appartenenza; Raffaella Paita, spezzina, attuale assessore regionale con delega, fra l’altro alla Protezione Civile, è candidata alle primarie del PD per la successione a Burando. Di area renziana, è da tempo impegnata nella propria campagna elettorale; Marco Doria, professore universitario di storia economica, è attualmente sindaco di Genova. È uno dei sindaci che vengono definiti “arancioni”, con Pisapia, De Magistris e altri. Claudio Montaldo (sempre trafila PCI-PD) è vice presidente della Regione.

Burlando, Paita & Co. Fuga dalle responsabilità

Scena prima: alle 18,50 di giovedì 9 ottobre un tweet informa che dalle 19 – cioè dieci minuti dopo – il servizio di numero verde della Protezione civile sarà disattivato. Per tutta la mattina la pioggia ha martellato, con ondate violentissime, la città di Genova. Ma secondo l’Arpal, depositaria delle previsioni meteo ufficiali e che dipende dalla Regione Liguria, non succederà nulla. La Protezione civile regionale se ne sta, di conseguenza se ne sta anche quella del Comune di Genova. E se ne stanno, ovviamente, il governatore Claudio Burlando, l’assessore regionale Raffaella Paita, il sindaco Marco Doria e l’assessore comunale Gianni Crivello (peraltro ricoverato in ospedale). Non uno che si prenda la responsabilità di andare oltre l’Arpal e imporre che la macchina dell’emergenza si metta comunque in moto. Il che avverrà in ritardo, quando ormai Fereggiano, Bisagno, Sturla e Carpi stanno esondando. Con ciò che ne deriva, compresa la perdita di una vita umana.

Scena seconda: venerdì 10 ottobre, con la città di Genova devastata dall’ennesima alluvione, uno dei subitanei pensieri dell’amministrazione regionale ligure guidata da Claudio Burlando è quello di postare sul sito ufficiale dell’ente due comunicazioni. Uno: “Elenco dei principali interventi di messa in sicurezza idraulica e di difesa del suolo”. Due: “Cronistoria rifacimento copertura Bisagno”. Per la serie: “Ma che colpa abbiamo noi?”.

Raffaella Paita e Claudio Burlando

Scena terza: lo stesso venerdì 10 ottobre, Burlando si presenta in conferenza stampa, con al fianco da una parte il vicepresidente Claudio Montaldo e dall’altra l’assessore con delega a protezione civile e ambiente Raffaella Paita. I due fanno le belle statuine silenti, il governatore parla, in piena pure lui. E che cosa dice? La colpa è della burocrazia, dei ricorsi al Tar e di tutti i lacci e lacciuoli che gli hanno bloccato le mani, lui che è commissario alla copertura del Bisagno. Quanto all’Arpal, il tono è assolutorio, perché gli serve per l’autoassoluzione. Il modello matematico delle previsioni ha toppato, ma Burlando ci spiega che in passato ha consentito di centrare tutti gli eventi catastrofici e semmai ha provocato qualche allerta anche quando non era il caso. Ecco un punto chiave: a nessuno, all’Arpal e in Regione Liguria, cominciando da Burlando e proseguendo per l’assessore Paita (quando ha preso la delega si è fatta dire come stessero le cose?), è venuto in mente che sarebbe anche potuto accadere il contrario, e cioè una mancata allerta quando invece sarebbe stata necessaria? Naturalmente no, ma è esattamente quanto avvenuto. Ad oggi, però, nessuno dell’Arpal sembra destinato a pagare il gravissimo errore commesso, né pagherà chi in Protezione civile regionale si è fidato ciecamente di un modello che già aveva mostrato dei limiti, né pagheranno – e ci mancherebbe! – Burlando o Paita per la colpa in vigilando che inevitabilmente dovrebbe investire chi sta in cima alla piramide. E’ un’operazione di disinformazione che tecnicamente meriterebbe 10 e lode in una virtuale pagella. Ma è da sprofondare se la si osserva con la lente di ingrandimento della morale politica. Il disastro è avvenuto per il corto circuito in Regione Liguria (leggi Arpal-Protezione civile) o per colpa di opere che comunque non sarebbero state ancora ultimate?

Scena quarta: il sindaco Marco Doria scende troppo tardi fra gli alluvionati e quando lo fa si prende ogni sorta di insulto. Sono gli oneri connessi agli onori della carica. Dal punto di vista della comunicazione, però, a lui va uno zero spaccato. Come i genovesi, anche lui e il Comune sono vittime della vergogna dell’allerta zero. Ma il marchese Doria, che come gran parte dei nobili sembra vivere su un altro pianeta, non ha nel dna il gene dell’incazzatura. Reagisce in modo surreale e si limita a dire con eleganza – noblesse oblige – che dall’Arpal non è scattato alcun allarme, anziché alzare la voce e guidare, lui che è primo cittadino, la rivolta dei cittadini contro i responsabili dell’alluvione arrivata senza alcuna rete protettiva. Poi, certo, le magagne stanno anche a Tursi: dal mancato varo dei “piani di dettaglio” per fronteggiare simili emergenze alla beffa dei premi riconosciuti ai dirigenti della prevenzione disastri. Da salvare non c’è nessuno, ma le diverse tonalità di responsabilità sull’evento non sono una sfumatura.

Scena quinta: la politica-politicante non usa le pale come gli “angeli del fango”, provvede semmai a evitare che gli schizzi le arrivino addosso. Il Burlando logorroico della conferenza stampa di venerdì ruba la scena a Paita e Montaldo? No, fa da paravento a tutto e a tutti, l’esperienza non gli manca. Montaldo è lì come vicepresidente, ma il governatore se lo sarebbe portato appresso se non avesse dovuto – e sottolineo dovuto – portarsi Paita per dovere d’ufficio, avendo lei la delega a protezione civile e ambiente? Ne dubito, anche Montaldo serve da copertura. Lo si capisce dal fatto che Paita, nei giorni precedenti tarantolata alla ricerca di consensi per le primarie del centrosinistra, letteralmente sparisce dalla scena. Non rendendosi ancora conto di quanto stava accadendo, aveva twittato la sua presenza al centro d’emergenza del Matitone, ma le reazioni non proprio simpatiche l’hanno rapidamente indotta a recedere da ogni ipotesi di “ghe pensi mi”. La rete, che osserva con attenzione, difatti ora si interroga: “Dove sei Paita?”. Lei ha fatto genericamente sapere di essere sul territorio a lavorare. Ma certo il suo presenzialismo sfrenato delle settimane e dei giorni scorsi stride con l’immersione di queste ore. Per la serie: meno mi faccio vedere, più sopravvivo alla bufera. E’ questa la capacità di assumersi le responsabilità, anche quelle che non competono se lo richiede il ruolo, di un aspirante futuro governatore della Liguria?

Scena sesta: che il “Dove sei Paita?” lanciato in rete non sia un interrogativo ozioso, lo dimostra un altro fatto. Il Pd genovese guidato da Alessandro Terrile, fra i pochissimi ad aver dimostrato di avere ancora i piedi piantati nella realtà, ha preso una iniziativa coraggiosa, chiedendo di porre fine alla politica dello scaricabarile e di riparlare delle primarie nel 2015. Quindi a gennaio. “Prima bisogna pensare a Genova” dicono Terrile e compagni, consapevoli che il partito può davvero andare a sbattere contro l’ira della gente. Del resto “guidiamo la Regione, la ex Provincia e il Comune di Genova, come possiamo chiamarci fuori?”. Un’ovvietà, non fosse che l’ovvio sembra non abitare più alle latitudini delle istituzioni locali, Regione in testa. Difatti, il capogruppo all’assemblea ligurie dello stesso Pd, Antonino Miceli, come se ne esce in una dichiarazione sul Secolo XIX? “D’accordo, ma con senso di responsabilità convergiamo sul candidato unico Raffaella Paita”.

A parte che i candidati alle primarie sono due, perché un po’ di rispetto imporrebbe di ricordare che c’è pure Alberto Villa, Miceli è lontano anni luce dalla preoccupazione che ha Terrile di veder travolto dall’alluvione anche il partito. Macché, Miceli si preoccupa di non vedere travolta la Paita e con essa la promessa di ottenere uno strapuntino in Regione anche se lui il limite dei due mandati lo ha già raggiunto. Da spalare non c’è solo il fango portato dai torrenti esondati.

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Pierluigi Casalino, Sanremo News, 13 febbraio 2014

Per questioni legate alla concessione a Genova dell’isola greca di Tenedo da parte dell’imperatore bizantino Andronico Paleologo, che ribaltò in tal modo la politica del padre Giovanni V, filoveneziano, nel 1378 esplose un nuovo conflitto globale tra la Serenissima e la Superba. Il 30 maggio di quell’anno appunto, dopo l’azione sobillatrice di Barnabò Visconti, alleato di Venezia, sulle città della Riviera di Ponente, con la battaglia di Capo d’Anzio, nella quale la flotta genovese di Luigi Fieschi fu sconfitta da quella veneziana di Vettor Pisani, attiva nel Mar Tirreno.

La rivincita genovese non tardò e si ebbe nelle acque di Pola al largo di Capo Promontore, esattamente un anno dopo, con la vittoria riportata da Luciano Doria sullo stesso Pisani, che era passato in Adriatico, dove le operazioni belliche si erano spostate. Il Doria perse la vita nella battaglia, ma i genovesi occuparono Chioggia, bloccandola per mare e minacciando direttamente la stessa Venezia. La controffensiva veneta si sviluppò fino alla resa di Pietro Doria, parente di Luciano, nonostante l’occupazione di Trieste da parte ligure. La pace di Torino sancì una pace senza vinti, né vincitori e che ebbe il solo effetto di avvantaggiare i Turchi a spese delle due repubbliche marinare. A Genova, a seguito di gravi tumulti, assunse il potere il doge Antoniotto Adorno, il quale fece liberare Papa Urbano VI dalla prigionia di Nucera dove l’aveva relegato il re di Napoli, Carlo Durazzo: fu così che Genova divenne sede provvisoria della Chiesa di Roma per circa quindici mesi. Per la concessa ospitalità, il Pontefice, Genova ottenne piccoli fondi ecclesiastici della Riviera di Ponente, sottratti ai vescovi di Albenga, Noli e Savona. Attraverso una saggi politica territoriale, ‘Adorno si assicurò il possesso, non con le armi, ma con il denaro, di terre e castelli, tra cui Pieve di Teco.

Genova in una xilografia di Hermann Schedel (1493)

Genova in una xilografia di Hermann Schedel (1493)

In politica estera l’Adorno si assicurò nel 1388 Djerba e la Sirte tunisina, partecipando l’anno successivo ad una spedizione franco-genovese, che pose sotto assedio al-Mehedia per poi concludere un favorevole trattato di commercio con il Sultano di Tunisi: in quell’epoca, si dice, olivicoltori liguri di Ponente trapiantarono ulivi originari del Ponente nell’isola davanti a Sfax. L’Adorno, per motivi tuttora non chiari, si dimise dalla carica, dopo anni di governo, per ritirarsi a

Finale. Nel 1391, tuttavia, l’Adorno rientrò a Genova con ottocento armati; poco più tardi, le grandi inimicizie lo costrinsero nuovamente ad abbandonare il potere. Il 3 settembre 1394, Adorno, tuttavia, per la terza volta, tornò ad essere Doge di Genova. La Francia, sia su richiesta di avversari politici di Adorno, che per mire politico-territoriali sulla città, investì Savona, che, ostile da sempre a Genova, si diede ai Francesi. Adorno perfezionò un accordo segreto tra  la Francia e l’Adorno.

Non ebbe altra scelta che entrare in trattativa diretta con i francesi di Carlo VI, che già stavano estendendo la loro egemonia in Italia. l’Adorno promosse un’intesa con i francesi per inserire la Liguria nel sistema francese, anticipando una mossa che puntava a destinare Genova e il resto della regione alla Francia. Non molto dopo il dominio francese di Carlo VIII si abbatté su Genova e la Liguria a partire dalle piazzeforti di Ventimiglia, Sanremo e sempre più verso Levante. Anche i tradizionali e  cospicui interessi liguri in Provenza furono inglobati dai francesi.

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