Posted in Politica, Storia, tagged 1848, Aldo Tortorella, Angela Merkel, Bibbia, bolscevichi, caso ungherese, conquiste sindacali, controrivoluzione, Costituzione democratica, cultura critica, debito pubblico, democrazia, disoccupazione, Europa, fascisti, Friedrich Engels, Germania, giacobini, Karl Marx, lavoro, Lega dei comunisti, Manifesto del Partito Comunista, maresciallo Petain, Margareth Thatcher, Movimento 5 Stelle, movimento operaio e socialista, Norvegia, Novecento, Ottocento, papa, Partito Comunista Italiano, povertà, povertà assoluta, povertà relativa, redistribuzione della ricchezza, religione di Stato, retribuzioni, riforma, rivoluzione, rivoluzione conservatrice, rivoluzione neoliberista, rivoluzione rottamatrice, rivoluzioni razziste, Ronald Reagan, sonno della ragione, Stati Uniti, stato sociale, verbalismi rivoluzionari on 24/10/2015|
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Aldo Tortorella, Critica Marxista, n. 5/2013, 17 ottobre 2013
C’è stato un tempo in cui la parola “rivoluzione” faceva paura a coloro che venivano definiti i benpensanti. Ma non solo a loro. Nel linguaggio comune e in diversi dialetti (per esempio, il milanese) almeno fino alla metà del secolo passato – e anche oltre – “fare un quarantotto” voleva dire buttare tutto all’aria, creare un gran disordine, rovesciare le regole: e quel 48 entrato e rimasto nel lessico popolare per cent’anni era la rivoluzione del 1848, quella che aveva sconvolto gran parte d’Europa e per cui due trentenni d’ingegno, pieni di speranze, avevano scritto un opuscoletto, per incarico della Lega dei comunisti, senza immaginare che quel loro Manifesto per l’immediato avrebbe prodotto scarsi risultati ma sarebbe stato un successo editoriale secondo solo alla Bibbia.
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