Nato il 2 maggio 1940 a Sulaimaniya nel Kurdistan iracheno e figlio del poeta Fayak Bekas, Sherko Bekas (Şêrko Bêkes in lingua originale), nel 1961 venne colpito da mandato di cattura per la sua attività letteraria. Aderì al Movimento di liberazione della sua terra nel 1965 e fu collaboratore della “Voce del Kurdistan”, la stazione radio dell’organizzazione, fino a che non dovette lasciare la sua terra d’origine nel 1986 per ragioni politiche trasferendosi, esule, in Svezia, dove visse dal 1987 al 1992, quando rientrò nel Kurdistan iracheno liberato, dove assunse la carica di ministro della Cultura. Morì di cancro il 4 agosto 2013 a Stoccolma.
Figlio d’arte, iniziò la sua carriera di poeta giovanissimo. La sua prima pubblicazione, infatti, risale a quando era appena diciassettenne. Nel 1970, con altri autori pubblicò il manifesto Osservatorio per il rinnovamento del linguaggio letterario e nel 1971 introdusse l’elemento “Rüwamge” (visione) nella poesia curda, rompendo con le rigide regole tradizionali del genere quali la rima.
Bekas si divise sempre fra l’attività letteraria e la lotta, contrasto che si riverbera nella sua opera, nella quale si trovano alcune delle liriche più delicate della poesia curda contemporanea alternate alla descrizione della guerra in atto e all’espressione dell’ansia di libertà. La poesia che segue ne è un chiaro esempio.
Calze
Fuori, il freddo Dicembre
ha reso muto il vento.
Dentro, lei siede
tutta sola.
Come agnellini
intorno a lei dormono i suoi figli.
Suo marito, da molti anni ormai,
è un uragano che insegue
l’amore di queste montagne.
Lei siede tutta sola
lei sembra un salice piangente,
il capo curvo sul grembo.
Lavora e lavora e lavora
per finire il paio di calze di lana
che lui le ha chiesto.
A mezzanotte saranno pronte.
Ma lei non sa
che quando quel paio di calze arriverà
dov’è il suo uomo,
a lui, servirà soltanto la sinistra.
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