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Posts Tagged ‘Liberazione’

di Dilar Dirik, attivista curda e dottoranda all’università di Cambridge.
FonteAl di là del buco, 28 novembre 2015

La sua ricerca è incentrata sul Kurdistan e il movimento delle donne curde

(Titolo come apparso nel blog dell’autrice: The Women’s Revolution in Rojava: Defeating Fascism by Constructing an Alternative Society, dal capitolo “A Small Key Can Open A Large Door: The Rojava Revolution” in Strangers in a Tangled Wilderness, Marzo 2015, Combustion Books. Traduzione di Eugenia)

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Alessandro Barile e Samir Hassan, Il Manifesto, 30 maggio 2015

Una florida pubblicazione di diari, ricordi, biografie e romanzi sull’esperienza partigiana, Mentre la storiografia continua a riproporre chiavi di lettura consolidate su una vicenda spartiacque nella storia repubblicana. Un percorso di lettura

Immagine tratta dal volume “Questa è guerra” (Marsilio editore)

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La storia italiana del 900 non può non riservare un posto di rilievo a Sandro Pertini. Certamente non è stato l’unico politico che, legittimamente, può essere considerato “grande”, però pochissimi come Lui si sono segnalati per le doti di passione politica, coerenza e, intraprendenza nei principi in cui ha creduto, lealtà e onestà nei comportamenti e, aggiungo, anche per acume politico a dispetto di coloro, avversari politici ma anche compagni di partito, che nel mentre ne lodavano le doti umane ne lamentavano la scarsa “idoneità” politica.

Ed invece Sandro Pertini si è rivelato e sempre comportato da vero politico.

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Luciano Canfora, La Stampa, 31 maggio 2014

Le metamorfosi delle oligarchie

Dall’antica Atene all’economia globalizzata: come si esercita il predominio senza il peso di assumere direttamente la gestione del potere.

[Si tratta di una parte della lezione che Luciano Canfora ha tenuto il 1° giugno a Trento in occasione del Festival dell’Economia, il cui tema è «Classi dirigenti, crescita e bene comune». Luciano Canfora ha recentemente pubblicato con Gustavo Zagrebelsky il dialogo «La maschera democratica dell’oligarchia]

Jules Isaac

Jules Isaac (1877-1963) – colui che, da vecchio, convinse Giovanni XXIII ad abbandonare le formule anti-ebraiche della liturgia cattolica – quando era un ex professore, braccato dalla Gestapo durante l’occupazione tedesca della Francia, scrisse un piccolo libro di «storia parziale», come egli stesso lo intitolò: Gli oligarchi. Esso fu pubblicato subito dopo la Liberazione, essendo falliti tutti i tentativi di pubblicazione clandestina nel 1942/1943. In una pagina molto efficace di questo libro appassionante, Isaac distingue preliminarmente, trattando dell’Atene del V secolo, tra «oligarchi» e «ceto aristocratico». «Gli oligarchi – scrive – non erano in maggioranza degli aristocratici. Questi, al contrario, pur conservatori, per lo più moderati, pur allarmati per ogni innovazione che a loro sembrava avventura, pur ammiratori di Sparta e della sua immodificabile oligarchia, restavano pur sempre bravi Ateniesi, gente onesta, nemici della violenza». Gli oligarchi invece erano una piccola minoranza all’interno di questo ceto: essi non si rassegnavano ad accettare il meccanismo democratico, «rifiutavano la douceur de vivre e non facevano che odiare senza remissione il sistema: un piccolo numero di irriducibili, nemici giurati del popolo». E soprattutto sempre pronti, con le antenne ben deste, a spiare il momento in cui colpire e prendere il potere. Ed effettivamente lo presero il potere, a due riprese, approfittando del disastro militare del loro paese, nell’ultimo decennio del V secolo a.C. Ben presto lo persero, ma, dopo, la democrazia ateniese non fu più la stessa.

L’importanza di queste pagine di Jules Isaac, il quale parlando di Atene intendeva riferirsi al crollo della Francia nel 1940 e alla nascita del regime di Vichy – sta nella indicazione dei due piani, tra loro diversi, su cui si muovono gli avversari della democrazia, dei quali quello più temibile è quello che non appare allo scoperto se non quando le condizioni favorevoli (per lo più le crisi o le sconfitte) lo consentono. È in quel momento che si scopre che, sotto traccia, vi erano forze organizzate, pronte ad assumere il comando perché addestratesi costantemente a tal fine e perché personalmente molto capaci e per giunta sorrette da transfughi della democrazia non desiderosi di altro che di affossarla.

Banjamin Constant

Questo quadro, sostanzialmente veritiero, rappresenta una realtà arcaica e di modeste proporzioni, quella appunto della città antica, nella quale il conflitto è elementare e immediato e il nascondimento, in vista della presa del potere, può assumere soltanto la forma della congiura. La realtà moderna, invece, quella dei grandi stati nazionali e ancor più quella delle agglomerazioni che si propongono come superamento degli stati nazionali, consente alle oligarchie – ai «padroni del vapore» per dirla con Ernesto Rossi – una possibilità di predominio effettivo senza più il fastidioso peso o la necessità di assumere direttamente la gestione del potere. Tale gestione viene demandata al personale politico, a sua volta gratificato di privilegi di tipo oligarchico (ma più volgari e transeunti). Il fenomeno era già intuito da Marx nel Manifesto (1848!) quando parla dei governi come «comitato d’affari della borghesia», e ben trent’anni prima di lui, da Benjamin Constant al termine della celebre conferenza sulla Libertà degli antichi comparata con quella dei moderni, discorso nel quale – non è chiaro se in estasi o attonito – il celebre alfiere del liberalismo osserva che «la ricchezza si nasconde e fugge (…) il potere minaccia, ma la ricchezza ricompensa [cioè: ti compra]; alla fine sarà la ricchezza ad avere la meglio».

La storia del predominio del potere economico sulla società nel suo insieme, esplicato attraverso il personale di governo, è molto lunga e tutt’altro che lineare. Non va dimenticato che sono di volta in volta utili diverse tipologie di personale politico: dal grande trasformista del gioco parlamentare (alla Giolitti) al formidabile demagogo convinto in cuor suo di giocare una sua partita (Mussolini o atri omologhi leaders «populisti»). La fulminante diagnosi di Benjamin Disraeli (1804-1881) – abile e realpolitico ministro di sua maestà la regina Vittoria – descriveva con forte anticipo la realtà nostra: «Il mondo – scriveva lo statista inglese – è governato da tutt’altri personaggi rispetto a quelli che si immaginano coloro i quali non spingono lo sguardo dietro al proscenio». Oggi, nell’Occidente euro-atlantico, questi personaggi, come li chiamava Disraeli, non hanno più bisogno di farsi legittimare dal suffragio degli elettori. Hanno sotto di sé una serie di cerchie concentriche di oligarchie subalterne – tecniche, burocratiche, politiche – fino alla più bassa, quella del personale incaricato, in un modo o nell’altro, di «vincere le elezioni».

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